venerdì 11 marzo 2016

I bagni pubblici del “ventennio” a Milano. Una tradizione, quella delle “stufe”, che fu appannaggio delle “Reginae Bordelli”

Cassa
I servizi offerti all'ex-Albergo Diurno Metropolitano

Pavimenti maiolicati, pareti in marmo bianco di Carrara e vetro Civer, mobilio di pregio, vetrate colorate sui soffitti, oggi scomparse. Un ambiente di un'eleganza straordinaria in uno spazio di grandissimo valore artistico e architettonico, nonché uno dei primissimi esempi di hammam a Milano. Un centro benessere d’epoca. Come abbiamo letto nel precedente articolo di Tony Graffio, l'Albergo Diurno Metropolitano venne progettato e realizzato tra il 1923 ed il 1925 e inaugurato il 18 gennaio 1926, ma la domanda che ci poniamo però è chi lo frequentava allora di lunedì, il giorno di chiusura? Non ne fa menzione esplicita Luigi Inzaghi nel suo bel libro: “Bordelli milanesi, viaggio nei luoghi della prostituzione”. Pare che il lunedì non fosse luogo per educande, semmai per iniziazioni. Ma andiamo con ordine. La storia è lunga. Si sa che le prostitute dell'alto medioevo esercitavano la loro professione essenzialmente lungo le strade cittadine. Però a partire dal secolo XII esse ebbero a disposizione delle vere e proprie «case di tolleranza» a spese della comunità. Ogni cittadina di una certa dimensione era provvista nel basso medioevo di postriboli pubblici organizzati a spese del comune, che ne affidava generalmente la gestione a privati. Un altro luogo che nascondeva spesso traffici di amore mercenario era rappresentato dalle terme o stufe, anch'esse assai frequenti nelle città medievali, come testimoniano le numerose via della Stufa o delle Stufe, che ancora sussistono in molte città. Tali stufe, che continuavano di fatto l’antico uso romano delle terme, fornivano innanzitutto la possibilità per gli avventori di prendersi un bagno caldo, ma spesso offrivano anche pasti caldi, bevande e generalmente camere appartate e fanciulle compiacenti con cui intrattenersi. Teoricamente l’orario di accesso per gli uomini e per le donne era diverso, ma tale distinzione era di rado osservata e vigeva quindi una grande promiscuità. Molti dipinti del tempo ci hanno tramandato scene di quello che avveniva in questi bagni: vi si vedono uomini e donne che in tutta tranquillità si muovono nudi in grandi stanze, attingendo cibi e bevande da una tavola imbandita. È probabile che questo fosse il momento, diciamo così, comunitario, mentre chi desiderava una maggiore intimità poteva appartarsi in una delle stanze riservate, adiacenti alla sala principale o al piano superiore. Il fatto che spesso le stufe si trovano nella stessa via della casa di tolleranza «ufficiale» sembra confermare il dato che anch'esse fossero in realtà una sorta di postribolo. Si noti che tanto le une che l’altra non erano situate in quartieri periferici o comunque defilati della città, ma in pieno centro, così come erano generalmente di fattura signorile il palazzo e le strutture che le ospitavano. Non vi era insomma nessuna volontà di «nascondere» in qualche modo tali luoghi. Allo stesso modo non pare che vi fosse nessuna riprovazione o disonore per coloro che li frequentavano. Di più, pare che il marito che frequentasse la casa di tolleranza pubblica non potesse essere accusato di adulterio. Anche coloro che avevano la ventura di abitare nelle vicinanze non sembra che si rammaricassero della cosa: le testimonianze che ci sono giunte di denunce all'autorità pubblica riguardano solo assai raramente l’esercizio della prostituzione in sé e per sé (come la poca discrezione e l’offesa del comune pudore), mentre sono per lo più lamentele in seguito a risse o minacce subite, fatti che a quanto pare capitavano per altro sporadicamente. La prostituzione insomma non solo non era considerata attività asociale, ma non aveva generalmente nessun collegamento con la malavita. Mancava del tutto, ad esempio, la figura del protettore; la gestione del bordello era nelle mani della tenutaria (Regina Bordelli), che si preoccupava del buon funzionamento del locale, facendo attenzione che le sue ragazze si attenessero alle norme di igiene previste dai regolamenti e che un comportamento ugualmente corretto avessero nei loro confronti gli avventori. Una sorta di solidarietà di casta, estesa anche alle prostitute che esercitavano nelle stufe o lungo le strade, manteneva comunque la prostituzione nelle mani delle sole donne. Quanto alla tipologia dei rapporti richiesti dagli avventori alle prostitute, non pare stando alle testimonianze che abbiamo che tali “casini” fossero luoghi di «trasgressione» sessuale: si trattava per lo più di rapporti analoghi a quelli che potevano avvenire tra marito e moglie all'interno delle mura domestiche. Una conferma della tolleranza della Chiesa verso la prostituzione ci viene anche dal fatto che non era previsto che i bordelli osservassero nel loro orario di apertura i tempi ristretti che la dottrina cristiana riservava all'amore. Essi erano aperti anche nei giorni di festa, compresa la domenica (ma nessun commercio sessuale doveva teoricamente avvenire in corrispondenza dell’orario della messa), e generalmente anche durante la quaresima. Uniche eccezioni erano la Settimana Santa e quella di Natale in cui era d’obbligo la chiusura. La tenutaria approfittava in genere di questi brevi periodi per far svolgere i necessari lavori di ristrutturazione o per procacciare nuove ragazze che andassero a sostituire eventuali defezioni. In qualche caso era inoltre previsto un indennizzo al bordello da parte dell’autorità comunale che compensasse i mancati guadagni in conseguenza dei giorni di chiusura (1). L'Albergo diurno Venezia a Milano pare che abbia svolto anche la funzione delle medievali stufe. Lanciamo una ricerca fra i superstiti. Chi ha memorie in proposito? (Maurizio Bossi)

 La vasca di una cabina di lusso del Diurno Venezia

(1) Musitelli, Bossi, Allegri “Storia dei costumi sessuali in occidente” Rusconi Ed. 1999.  

Chi è il Professor Maurizio Bossi
Maurizio Bossi è uno dei più noti sessuologi ed andrologi italiani, grazie alla sua grande capacità comunicativa è riuscito ad affrontare, sia in televisione che alla radio, argomenti abbastanza delicati, già sul finire degli anni '80 quando, col comparire del virus HIV, era necessario fare chiarezza senza ipocrisie sulle problematiche legate alle abitudini sessuali di donne e uomini di tutte le età. Fu soprattutto il programma radiofonico "Tabù", trasmesso nel 1995 da Radio 105, a riscuotere uno strepitoso successo che rese il Professor Bossi molto popolare al pubblico più giovane.

Maurizio Bossi, 65 anni, Andrologo

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