mercoledì 13 gennaio 2016

Punto Foto Group, una scelta di cuore per la fotografia argentica (Intervista a Felix Bielser)

Tony Graffio è andato a trovare Felix Bielser, in via Aristotele 67 a Milano, un imprenditore che rilevando l'attività del padre Karl prosegue il commercio di un'impresa da 70 anni nel settore fotografico rifornendo con pellicole, carte, chimici e altre attrezzature tutti gli appassionati ed i professionisti che scelgono d'utilizzare i prodotti della fotografia tradizionale.

Tony Graffio: Ciao Felix, potresti spiegarmi come è nata la vostra attività di famiglia?

Felix Bielser: Certamente Tony. Noi siamo cittadini svizzeri, mio padre era già in Italia prima della guerra, nel periodo bellico è rientrato in Svizzera per il servizio militare, ma nel dopoguerra è tornato qui a Milano per trattare materiale fotografico perché un'industria svizzera, la Tellko (fabbrica di materiale fotosensibile bianco e nero), acquistata dopo qualche anno dalla Ciba diede vita alla Ciba Photochimica e chiese a mio padre di rappresentarli in Italia. E' stato lui a fondare quel settore fotochimico che divenne poi la Ilford in Italia. Mio padre nacque nel 1917 vicino a Basilea, era il maggiore di 6 fratelli e sorelle ed è stato l'unico tra loro che ha avuto l'opportunità di poter studiare all'estero. Prima è andato in Svizzera francese, poi s'è trasferito in Francia e dopo in Italia, chiamato da una ditta di Abbiategrasso che produceva un metallo in fogli simile all'oro, utilizzato per la doratura ed altre lavorazioni. Si può dire che probabilmente essendoci un'affinità tra oro ed argento, forse è per questo che s'è trovato poi nel settore fotografico.

TG: Ho capito, e come è capitato che poi Karl Bielser ha aperto il primo negozio?

FB: Il primo punto vendita aperto ai fotografi, qui a Milano, risale alla seconda metà degli anni '50 ed era in via Parini, vicino a Piazza della Repubblica, siamo stati lì fino agli anni '80. Quella era una zona molto importante perché c'era tutta l'editoria dell'informazione si trovava nel palazzo di Piazza Cavour, poco distante in via Solferino c'era il Corriere della Sera e nei dintorni delle sedi dei quotidiani c'erano tantissime agenzie e fotografi attivi nel settore editoriale. Abbiamo avuto anche un negozio da quelle parti, fino al 2000, poi ci siamo trasferiti qua con il magazzino all'ingrosso nel 1998. La moglie Edith, dal 1954 è stata garante della filosofia dell'azienda, insieme a mia sorella Ursula.

TG: Tu hai iniziato subito con tuo padre?

FB: Io ho studiato qui a Milano, poi ho fatto il mio tirocinio in Svizzera, ma io sono nato in questo settore. Ho iniziato a lavorare nell'impresa di famiglia nel 1979, a 21 anni. Dopo qualche anno mio padre mi ha ceduto l'attività, all'interno di questa impresa a carattere familiare c'erano anche mia madre e una o due sorelle. L'anno dopo che è mancato mio padre (1998), da via Parini e via Fatebenesorelle, ci siamo trasferiti qui in via Aristotele. Adesso lavoro con mia sorella Yvonne. Nel 2011 scompare anche mia madre, Edith Marie Elsa Bieseler, ma per noi l'avventura continua e dall'anno scorso sembrerebbe che il settore analogico, che io preferisco chiamare argentico, stia ritrovando una sua seconda giovinezza. Per questo sto cercando di farmi affiancare da collaboratori che mi aiutino ad allargare la proposta non solo dei prodotti, ma anche dei servizi. Verso fine mese, faremo partire una linea di sviluppo colore C41 con un mini-lab perché in una città come Milano che ha ancora molto da dire a livello fotografico, ormai i laboratori di sviluppo e stampa tradizionale che lavorano in modo professionale sono diventati troppo pochi per soddisfare le richieste del mercato.

TG: Svilupperete solo il 35 mm o anche altri formati?

FB: Ci saranno sicuramente una linea di sviluppo per il 35mm ed una per il 120, sperando in un futuro non troppo lontano di completare l'offerta dei nostri servizi, sia per le tipologie dei trattamenti, ma anche dei formati, arrivando a sviluppare il 4X5 e l'8X10.

TG: Felix io ricordo d'averti conosciuto proprio nel momento in cui voi siete trasferiti qui in via Aristotele, quello è stato il momento critico per la fotografia argentica, come avete fatto ad uscirne fuori?

FB: Esatto, noi abbiamo fatto il grande passo proprio allora; siamo venuti qui perché si avevano già dei sentori di quello che sarebbe potuto accadere con l'avvento del digitale, però in quel periodo il digitale non la faceva ancora da padrone, anche se noi abbiamo sofferto per almeno 4-5 anni lottando per sopavvivere. Questo bisogna dirlo.

TG: Però, oggi hanno chiuso quasi tutti e voi siete ancora qui a lavorare...

FB: Esatto, vuol dire che nel mio piccolo, in parte ho avuto ragione. Io ho sempre affermato che il digitale poteva essere un arricchimento se fosse stato seguito con lo stesso impegno e lo stesso scrupolo, come si era abituati a fare con l'analogico. Bisognava partire dal presupposto che cambiava il media, ma tutto il resto della filiera avrebbe dovuto restare, dalla stampa a tutto quello che veniva dopo lo scatto. Invece, ciò che ha fatto quasi scomparire la fotografia argentica è stata proprio l'assenza dell'abitudine di stampare le immagini ottenute con le nuove tecnologie. Da un giorno all'altro la gente ha smesso di stampare e far stampare le proprie fotografie. Un tempo anche il fotoamatore portava i propri scatti al mini-lab per farli sviluppare e stampare, in modo continuo. La fotocamera digitale, anche per colpa delle grandi aziende che non hanno fatto abbastanza promozione e educazione all'uso del nuovo mezzo dicendo alla propria clientela che la fotografia è il supporto sul quale si osserva l'immagine, non il file.
La responsabilità non è solo di Kodak, Agfa, Fuji e dei vari produttori di pellicole, ma anche di chi fabbrica fotocamere: Nikon, Canon e via di seguito, perché tutti hanno espresso il loro entusiasmo verso il digitale pensando che la gente avrebbe scattato di più. Effettivamente è stato così, ma lo scatto non ha avuto alcun seguito e tutto è rimasto confinato all'interno delle schede di memoria e degli hard-disk. Abbiamo assistito allo sviluppo dei social netwok: Twitter, Flicker, Facebook. Adesso sono tutti fotografi, ma nessuno ha in mano nulla. E' tutto virtuale, è tutto di tutti e niente di nessuno. In tre o quattro anni questa situazione ha distrutto un settore. Ci sono stati molti fallimenti, ha iniziato Ilford, poi a ruota hanno seguito la stessa sorte Agfa e Kodak. Tutte queste ditte sono in parte rinate, ma molto ridimensionate. Fuji ha sempre avuto la fortuna d'avere un piede in molte scarpe perciò, se non tirava un settore tirava l'altro e per questo ha risentito meno della crisi. Oggi invece sono in crisi i produttori di macchine fotografiche. Nikon ed Canon non se la stanno passando benissimo, Minolta è stata acquistata da Sony, Pentax da Ricoh, c'è stato un rimescolamento incredibile. Dopo il 2000, il lavoro dei laboratori di sviluppo è stampa è crollato dell'80% e di conseguenza hanno chiuso 8 laboratori su 10.
Questa moria è continuata ed in piccola parte sta continuandoo anche adesso. Non ci sono più le grandi realtà che conoscevamo 20 anni fa. In Italia c'erano almno una ventina di cosiddetti Photo-Finisher che erano struuture con almeno 100 dipendenti impiegate all'interno di ognuna di esse e non so quante macchine sviluppatrici e stampatrici. Questa realtà è stata spazzata via dal digitale. Noi possiamo discutere su tante cose, ma indubbiamente questa è la realtà economica di quello che è successo.

TG: Esistono ancora gli importatori, i grossisti ed i negozi di fotografia?

FB: Anche queste categorie hanno chiuso perché chi s'è convertito completamente al digitale non è riuscito a dare quel valore aggiunto di consulenza, servizi ed altro. Essendo gli utili sempre più risicati e facendosi sempre più largo la realtà degli acquisti su internet, molte realtà commerciali sparivano. Non essendoci più una consulenza nei confronti della clientela, solo il prezzo fa la differenza. S'è perso il rapporto con la clientela che non trovando un dialogo col negoziante s'è rivolta verso altre categorie di venditori. Inoltre, le aziende produttrici hanno limitato gli utili dei venditori al dettaglio.
Molti negozi storici hanno chiuso, l'ultimo è forse Centro Foto-Cine in piazza Argentina che ha chiuso qualche mese fa.
Noi di PFG abbiamo fatto una scelta diversa, anche perché a me il digitale proprio non piace, io sono nato con le mani dentro lo sviluppo e cerco di portare avanti questa abitudine. La mia impressione era che una tecnica fotografica così importante non poteva morire in quel modo. Non si deve lasciar morire niente senza combattere. Inoltre, s'è visto nella storia, che ci sono state tecnologie soppiantate completamente, ma in linea di massima, se guardiamo al cinema o alla musica, o nella fotografia, difficilmente qualcosa scompare completamente. Per un'azienda di piccole dimensioni come la nostra e concepita in un certo modo, a conduzione familiare, valeva la pena di combattere ed è quello che abbiamo fatto e sembra che questo tentativo sia riuscito.

TG: I telefonini stanno ulteriormente distruggendo il comparto fotografico?

FB: In parte sì, il vero appassionato usa ancora la reflex con gli obiettivi intercambiabili e tutto il resto, ma se guardiamo il settore dell'uomo della strada scopriamo che coloro che fanno un viaggio e scattano delle fotografie per portarsi a casa qualche ricordo, visto che non si stampa, per quale motivo dovrebbero scegliere una compatta anziché uno smartphone? Praticamente nessuno. O hai delle aspettative e vuoi realizzare delle stampe, e presentare le tue fotografie a qualcuno, ma per come è andata a finire l'esigenza di fotografare, il telefonino la fa da padrone.

TG: E' però un assurdo, io ho provato ad aprire delle riviste di 50 anni fa e guardare come erano stampate e quelle poche riviste di oggi che ancora si vendono, quelle che si sono salvate, perché se è vero che la gente non stampa più è anche vero che legge pochissimo. Mi sono accorto che la qualità di stampa digitale da fotografie digitale, specie se a colori, è straordinaria. E' il colmo che proprio adesso che c'è la possibilità di stampare ad una qualità elevatissima, nessuno, o almeno, pochi, lo vogliano fare...

FB: Lo so, è vero, ma quando la gente si disabitua a fare certe cose, tu puoi dargli il tesoro più prezioso al mondo, ma se manca la percezione di quello che gli stai dando, non interessa a nessuno.

TG: Stiamo vivendo un decadimento culturale?

FB: E' un decadimento culturale, sì. Ma anche una perdita di educazione e abitudini. Se guardiamo l'ultimo settore della fotografia professionale che sta perdendo colpi: la fotografia di matrimoni, cosa vediamo? Una volta tutti avevano l'album. Io lo vedo nella mia famiglia, tra i miei conoscenti, per far vedere un'evento importante vai a prendere l'album da un cassetto, hai delle stampe ed è tutto documentato. Oggi, i matrimonialisti non consegnano più l'album, ma ti danno un dvd che contiene sia le fotografie che i filmati. Quanti sono poi quelli che faranno stampare l'album? E così, quando non c'è nemmeno più l'esigenza d'avere una memoria storica tutto si perde. Non è tutto così intendiamoci, altrimenti io non sarei qui, ma è difficile scontrarsi con questo tipo di mentalità moderna. L'album era un valore certo, sapevi che era su uno scaffale della libreria, lo prendevi e lo consultavi, adesso se devi cercare un'immagine non sai nemmeno dove l'hai messa. Sarà su un hard disk, su un dvd, come fai a cercarla in mezzo ad altre centinaia di migliaia di scatti?

TG: Molte aziende elettroniche, tipo Sony, o informatiche si sono introdotte nel mercato fotografico e ne hanno snaturato la mentalità...

FB: Bravo, esatto, ma noi avevamo molte aziende che potevano cercare di conservare questo mercato introducendolo sul mercato nel modo giusto, attingendo alle loro competenze specifiche del settore analogico, ma non l'hanno fatto. Eppure erano aziende molto grandi e prestigiose con decine di migliaia di dipendenti, ingegneri, esperti di marketing e tutto quello che serviva per lavorare al meglio. Avevano tutte le competenze possibili ed immaginabili, ma non le hanno messe a frutto. Tutte queste aziende, se non sono fallite, hanno subito un forte ridimensionamento, anche in maniera drammatica.

TG: Nel tuo punto vendita cosa va per la maggiore il bianco e nero o il colore?

FB: Il colore sta piano piano recuperando, ma è una tendenza molto lenta da osservare. Bisogna dire che tutto quello che è la fotografia analogica non ha più i numeri di una volta.
Il bianco e nero è quella branca della fotografia argentica che teme meno il digitale. Chi fa il bianco e nero ha un altro modo di vedere le cose, e vuole essere regista di se stesso. Tu, col bianco e nero argentico non hai bisogno di nessun interfaccia, ti serve soltanto una fotocamera ed un ingranditore, tutto il resto lo puoi fare da solo. La pellicola la sviluppi a casa tua, stesso discorso per la stampa. Se vuoi passare al digitale, ti serve uno scanner e da solo decidi quello che vuoi fare. Il colore, da un certo punto di vista, è meno creativo e sicuramente più difficile da trattare. Bisogna mantenere delle temperature in modo abbastanza preciso e ci sono altri ostacoli che non lo rendono alla portata di tutti. Però anche il colore sta piano piano riprendendo quota.

TG: Possiamo provare a fare una percentuale di come si ridistribuisce l'uso della pellicola a colori ed in bianco e nero?

FB: Nel nostro caso il bianco e nero rappresenta sicuramente il 70% del fatturato. Il bianco e nero può crescere ancora come vendite, soprattutto nel medio e grande formato. Abbiamo un discreto margine di crescita anche per il colore.

TG: Il vostro mini-lab tratterà anche il bianco e nero?

FB: Noi non siamo qui per fare concorrenza agli altri laboratori, ma per cercare di tappare un buco che s'è creato nella filiera fotografica per quello che riguarda lo sviluppo del colore. A Milano, ci sono soltanto due laboratori che sviluppano il colore professionalmente, per il bianco e nero invece abbiamo ancora 5 o 6 realtà che hanno ancora un discreto mercato. Noi cerchiamo di collaborare con loro costituendo una specie di comunità analogica dove indirizziamo il cliente verso chi è in grado di rispondere meglio alle sue necessità.

TG: Il fatto d'avere delle origini mitteleuropee ti ha portato dei vantaggi nei contatti con le aziende straniere? O negli scambi commerciali con la Germania?

FB: Certo, io ringrazio i miei genitori che mi hanno permesso di conoscere le lingue, io parlo: tedesco, francese, italiano ed inglese. Ho avuto facilità di contatti in Europa, mentre oltreoceano lavoriamo poco. Qualcosa facciamo, ma i nostri partner sono soprattutto le aziende europee che sono anche quelle con la maggiore tradizione in questo settore. Io lavoro e vivo in Italia perché penso che il mercato italiano, pur essendo un mercato difficile e meno preparato di quello di Inghilterra Francia e Germania, è anche un mercato potenzialmente con molto terreno fertile e possibilità di sviluppo. Si può lavorare ancora molto e soprattutto sui giovani. Noi, da diversi anni, stiamo vedendo che ci sono sempre più giovani che si avvicinano alla fotografia argentica.

TG: Tra loro sono molti quelli che hanno studiato e che appartengono a classi sociali elevate.

FB: Sì, molti hanno studiato ed hanno una buona istruzione, altri invece stanno facendo le scuole di fotografia, molti frequentano la Bauer, per esempio, che sono corsi di formazione, altre sono persone che magari hanno perso il posto di lavoro e frequentano dei corsi di aggiornamento e cercano altri sbocchi professionali. La platea di questi giovani è molto vasta. Il comune denominatore tra loro è quello della giovane età ed il fatto che si sentono contaminati da questa febbre argentica ed hanno molta voglia di fare.

TG: A Milano sei molto conosciuto, ultimamente sei presente anche su internet con la vendita per corrispondenza ti sei fatto conoscere un po' ovunque. Dove sono distribuiti i tuoi clienti? Sono più quelli che vengono ad acquistare in negozio o quelli che lo fanno online?

FB: Noi abbiamo sempre lavorato in tutta Italia attraverso i grossisti, piuttosto che con i negozianti...

TG: Perché siete degli importatori esclusivisti? E' Così?

FB: Se dovessimo dirla tutta, le categorie di un tempo sono saltate. Fino a 20 anni fa c'erano gli importatori, gli importatori grossisti, i grossisti negozianti e i negozianti. Oggi dire importatore ha poco senso, ognuno può essere un importatore, noi però effettivamente abbiamo delle esclusive. Noi trattiamo in esclusiva Maco, quindi tutti i prodotti marchiati Rollei: pellicole, carte, chimici, eccetera. Abbiamo altre rappresentanze, tipo gli ingranditori della Kienzle, piuttosto che Dunco. Arca Swiss per quanto riguarda i banchi ottici, ma soprattutto per le teste panoramiche per cavalletti ed altre esclusive molto interessanti.

TG: Quanto vendete in percentuale in negozio? E quanto sul web?

FB: Internet è chiaramente in crescita, ormai rappresenta circa il 40% del fatturato, la vendita ai negozianti è in calo perché molti stanno chiudendo e si sta perdendo la centralità di recarsi in negozio ad acquistare il prodotto. Aumentando la vendita online, diminuisce quella al banco, questo fatto è inevitabile.

TG: E allora in bocca al lupo all'analogico!


FB: Grazie, lunga vita alla pellicola!



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