sabato 18 aprile 2015

Le labbra del tempo di Alessandra Di Consoli

Continua lo Speciale Fotografia al MIA 2015 di Tony Graffio

Uno scatto di Alessandra Di Consoli da "La memoria dell'abbandono" del 2008


Tony Graffio intervista Alessandra Di Consoli


T.G.: Ciao Alessandra, vorrei che tu mi parlassi un po' della tua storia professionale e di come hai iniziato a fotografare.

Alessandra Di Consoli: Ho iniziato con studi d'arte, ho fatto prima il liceo artistico, poi all'Istituto Europeo di Design ho studiato fotografia e arti visive. Dopo di che ho iniziato la mia carriera di fotografa dalla gavetta, facendo l'assistente fotografa al Superstudio di Milano.
Piano, piano sono diventata fotografa  free-lance ed ho unito l'attività di fotografa commerciale, alla ricerca artistica che è sempre stata la mio modo preferito per utilizzare il mezzo fotografico in maniera professionale ed emozionale.

T.G.: Quanti anni hai?

Alessandra Di Consoli: Ho 32 anni e lavora da 10 anni a partita Iva.

T.G.: Come sei entrata in contatto con la Galleria Impressione?

Alessandra Di Consoli: Ci siamo incontrati proprio per caso. Loro stavano per iniziare questa attività di galleristi, ma già da prima erano presenti nel mondo della fotografia come stampatori fine art. Lo stampatore, che è socio del gallerista, ha visto i miei scatti durante un festival jazz dove io ero impegnata a fare dei ritratti, ho proposto a Riccardo Melzi di visionare anche altri miei lavori; da lì è nata una collaborazione e poi siamo finiti insieme alla MIA. I miei lavori sono stati apprezzati anche dall'organizzazione della fiera e così è stato deciso di proporre la mia personale in questo ambito.
Sono molto contenta che abbiano deciso d'investire su di me, tra l'altro con un lavoro che già avevo iniziato nel 2008, che avevo fatto girare a Budapest, a Londra ed adesso, finalmente, anche qui alla MIA che è una vetrina molto importante in grado di farti confrontare con i grandi nomi della fotografia internazionale.

T.G.: Come definiresti il progetto che è esposto qui in fiera? E di cosa si tratta?

Alessia Di Consoli: Si tratta di un progetto di ricerca: sono partita dai luoghi per pura curiosità. Qualsiasi persona incontrassi in intorno al parco dell'Adda aveva almeno un parente che aveva lavorato, o avuto a che fare con il linificio che io ho ripreso nelle mie fotografie. Io, nel 2008, abitavo vicino a questo posto, in una cascina, mentre adesso sono diventata milanese.
In un secondo tempo, la mia ricerca è diventata ancora più investigativa; sono andata nell'archivio del canapificio/linificio di Vaprio d'Adda, quello che è stato costruito, per ricercare più notizie sulle attività di queste fabbriche. 

T.G.: potresti parlarmi più diffusamente delle origini di queste fabbriche e delle loro attività?

Alessandra Di Consoli: In un primo tempo, verso la fine del 1800, fu aperto il canapifici/linificio nazionale di Cassano d'Adda; dove si producevano le cime delle navi, tra l'altro, furono fabbricate qui anche quelle dell'Amerigo Vespucci.
Si tratta di un opificio storico  molto conosciuto in Europa che ha dato lavoro a tutta la Lombardia. Molti operai specializzati arrivavano anche da molto lontano.
Nei piani più alti esistevano delle serre per la coltivazioni della canapa, sempre all'interno del palazzo dove si fabbricavano le cime. Nei piani più bassi c'erano le corderie dove tiravano i cavi e c'erano delle sorti di "trenini". Il tutto sulle rive del fiume Adda.
Una volta chiusa questa fabbrica, ne fu aperta un'altra a Vaprio d'Adda. Lì ho consultato gli archivi storici ed ho iniziato a cercare anche le persone che lavorarono in questa fabbrica per eseguire i loro ritratti.

Giuseppina Ronchi, poetessa, 2008. Fotografia di Alessandra Di Consoli Edizione 1/5 Prezzo: 1500 euro

Giuseppina era la nonna di uno dei miei più cari amici con i quali condividevamo la cascina dove abitavo, per cui è stato facile contattarla, ed è da lei che ho iniziato la mia serie di personaggi collegati al lavoro del canapificio di Vaprio d'Adda.
Molti altri personaggi sono venuti di seguito, grazie ai miei contatti ed alle mie ricerche in archivio. Non si trattava solo di lavoratori del canapificio, ma di persone collegate in qualsiasi modo a quei luoghi, per i motivi più diversi che non erano parte solo della storia convenzionale dei canapifici, ma anche di una stratificazione di attività e situazioni verificatesi anche dopo la chiusura della fabbrica.
Ho fotografato anche il ragazzo che all'interno di questi posti ha realizzato un suo cortometraggio, oppure la ragazza che recuperava degli oggetti, o che faceva delle feste all'interno di questi luoghi. Altre persone hanno anche dormito e trovato rifugio nel canapificio, come capita per tutti quei posti dell'abbandono che poi diventano mille altre cose.
Questi posti abbandonati per me sono un pretesto per raccontare dell'identità di un luogo e della sua memoria, per arrivare fino ai ricordi che ne hanno le persone.

T.G.: Che cosa ha in mano Giuseppina nel ritratto che le hai fatto?

Alessandra Di Consoli: Giuseppina ha in mano dei rocchetti di filo, perché lei era una filatrice. Lei ha anche vissuto all'interno della fabbrica per più di 25 anni e mi ha raccontato che quello è stato il periodo più bello della sua vita.
Io ho anche pubblicato un libro fotografico edito dal sistema bibliotecario di Milano Est, dove compare una poesia di Giuseppina che è stata anche una poetessa che ha ricevuto diversi riconoscimenti in varie concorsi poetici.
Quella poesia era una canzone che lei cantava in dialetto  bellinzaghese quando andava al lavoro, canzone che poi impararono anche altre persone, come lei, originarie di quella zona della Lombardia. Canzoni che io non riuscirei mai a cantare.

T.G.: Tu di che origini sei?

Alessandra Di Consoli: Io mi reputo milanese/lucano/cilena (ride), i miei genitori adottivi sono della Basilicata; dall'età di 3 mesi vivo qui nei dintorni di Milano, però sono nata a Tomè in Cile. Ho fatto una ricerca anche sulle mie origini ed ho imparato a parlare lo spagnolo, il mio ultimo lavoro, per questo si chiama Calle de casa.

T.G.: Tornando al tuo lavoro che presenti alla Mia, come si chiama?

Alessandra Di Consoli: Questo lavoro si chiama: Labbra del tempo. E' un titolo che ho preso da Edoardo Galeano, il mio scrittore preferito. In una novella scritta da questo autore uruguaiano, ricordo le ultime parole che recitano così: "Le labbra del tempo raccontano il viaggio." Parole valide anche per la sintesi del mio lavoro.

"Le persone diventano fantasmi" Alessandra Di Consoli parlando de "La memoria dell'abbandono"

T.G.: Praticamente il tuo lavoro si componeva di 2 parti, è così?

Alessandra Di Consoli: Esattamente, la prima fase s'intitolava: "La memoria dell'Abbandono" (diventato un libro fotografico), tutto si concentra sui luoghi, non compaiono persone, ma soltanto ombre o soggetti molto mossi che inducono a pensare che comunque ci sia stata una presenza umana. E' stata fotografata in pellicola invertibile sviluppata poi con un cross-processing in C41 (una specie di post-produzione incontrollata che satura le dominanti di colore in maniera imprevedibile, spesso surreale), perché io volevo dare l'impressione della stratificazione del tempo. Mentre "Le labbra del tempo", anche per motivi di costi, sono state fotografate con la tecnica digitale, gelatinando le sorgenti di luce, per ottenere, in qualche modo un risultato analogo, o che richiamasse i toni cromatici della prima parte del lavoro.

T.G.: Come hai proceduto con le persone che hai ritratto?

Alessandra Di Consoli: Utilizzando le luci da studio con le gelatine colorate, ho fatto un'irruzione in casa di alcune persone, o in altri luoghi significativi, dalle cantine ai posti di lavoro.
Per esempio, Armando lavorava in un centro anziani ed è lì che l'ho ritratto. Lui non ha mai lavorato presso il canapificio, ma aveva scritto su quella realtà che è un contenitore di storie che ha visto avvicinarsi molta gente interessata a raccontarne i trascorsi, anche perché faceva parte della storia del paese.
Ho cercato di ricreare un'atmosfera un po' fuori dal tempo con delle luci che, a volte, vengono viste come inquietanti. Io vedo questi effetti come un'esplosione di colore che mi dà la possibilità di immergere il mio soggetto in un ambiente magico e surreale perché questo è il momento dell'incontro con l'oggetto, che diventa icona.


Armando - Giclée cm. 100 X 70 Carta baritata su Dibond
Edizione 1/5 Prezzo: 1500 euro Autore Alessandra Di Consoli


T.G.: Poiché tu hai fatto un lavoro interessante anche sotto l'aspetto tecnico, voglio chiedere anche a te, come lo chiedo a coloro che si esprimono con soluzioni personali, quant'è importante, per te, la tecnica nell'arte?

Alessandra Di Consoli: Io direi che la tecnica è importante in funzione del contenuto. Io non sono tanto d'accordo con l'arte fine a se stessa, l'arte per me è soprattutto un veicolo di contenuti che possono essere emozionali, o politici. E' importante poter raccontare il proprio tempo e per farlo bisogna spesso ricorrere a metodologie dei nostri giorni perché anche la tecnica è veicolo di contenuto.

T.G.: Spiegami invece la scelta d'arrivare ad un risultato di saturazione del colore, prima con una tecnica incontrollabile analogica e poi con un sistema più gestibile digitale. Perché non hai continuato sempre con la stessa tecnica? Volevi fare delle prove?

Alessandra DI Consoli: Perché si tratta di due lavori differenti ed io evolvendomi nel mio lavoro di fotografa, ho iniziato a lavorare in digitale, anche per una questione economica.

T.G.: Dopo aver fatto queste esperienze che insegnamento ne trai?

Alessandra Di Consoli: Posso dire che con l'analogico c'è stata la sorpresa di vedere che colore è uscito fuori da quel momento e da quella situazione, proprio perché è un risultato incontrollabile. 
Per la seconda parte del lavoro, io ho avuto una sorpresa nel vedere la reazione dei soggetti nel prendere in mano gli oggetti che facevano parte del loro lavoro o della loro vita. Anche perché, ne: Le labbra del tempo c'è la presenza della figura umana e l'incontro con queste persone è molto forte.
Ne: La memoria del tempo, ero sola o accompagnata da qualcuno, perché l'edificio era veramente pericolante ed essere insieme ad altre persone mi dava maggior sicurezza. 
Si tratta di due esperienze diverse.


Valentina - Giclée cm. 100 X 70 Carta baritata su Dibond
Edizione 1/5 Prezzo 1500 euro Autore Alessandra Di Consoli

T.G.: Pur volendo arrivare ad un risultato analogo, tra i due lavori c'è comunque una discontinuità di stile, questo fatto ti ha deluso?

Alessandra Di Consoli: No perché si tratta di due lavori diversi che possono essere presentati indipendentemente uno dall'altro. Il primo s'è concluso con la pubblicazione di un libro e ci sono solo le fotografie dei luoghi e rappresentano, se vogliamo, anche qualcosa di più decorativo. Nel secondo ci sono i ritratti di persone che hanno tutto un altro impatto. Per questo poi ho intitolato ogni immagine col nome del soggetto. Dovrebbe essere anche questo un lavoro concluso, anche perché adesso mi sto occupando di altri progetti, però, sinceramente, so che si potrebbe benissimo andare avanti a raccontare molte altre storie, continuando a ritrarre persone che hanno agito nell'orbita del canapificio di Cassano d'Adda.

T.G.: Cosa ti ha fatto decidere di presentare qui i due lavori insieme?

Alessandra Di Consoli: L'ho fatto per potermi fare conoscere meglio e presentare due diversi modi d'operare. Ho iniziato con i luoghi e poi sono arrivata alle persone. 
E' un modo che rispecchia un po' il mio modo di essere, oltre che essere stata anche una decisione del gallerista. 

Alessandra Di Consoli fotografata da Tony Graffio con una JVC Picsio GM FN1

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