lunedì 13 aprile 2015

La fotografia educativa di Caroline Gavazzi


La fotografia non è soltanto arte, comunicazione o documento; la fotografia può essere una maestra che educa, o una terapia che aiuta a superare delle difficoltà momentanee e dei blocchi psicologici.
Caroline Gavazzi, 43 anni, nata a Monza, ha studiato urbanistica a Parigi, dove ha vissuto per alcuni anni, dopo di che s'è trasferita in U.K. dove ha iniziato a lavorare come fotografa, dopo essere stata assistente al direttore artistico di Vogue. 
Ha operato in modo da sperimentare un dialogo con un gruppo di bambini che vivono in un quartiere difficile a Nord-Est di Londra e frequentano la scuola primaria Beauvoir, a Hackney.
Vi propongo l'intervista che mi ha rilasciato ieri alla MIA di Milano. T. G.

Paura
La paura è dietro una tendina


Tony Graffio intervista Caroline Gavazzi

Tony Graffio: Caroline parlami un po' di te, chi sei? Cosa fai? Dove vivi?

Caroline Gavazzi: Vivo e lavoro a Londra ormai da 17 anni, ho iniziato la mia carriera come fotografa commerciale d'interni, ritratti e still life per riviste inglesi, molte delle quali della Condé Nast.
In seguito, poco alla volta, mi sono orientata un po' più verso la fotografia d'arte perché era il genere che più mi interessava, anche perché esprimendomi in questo modo mi sentivo più libera di trasmettere  meglio le mie idee.

T.G.: Che cos'è "Fear"?

Caroline Gavazzi: Questo progetto è nato un anno fa in Inghilterra. E' nato con una charity che mi ha introdotto presso una scuola di Londra in una zona sfavorita che si chiama Hackney con una classe di bambini d'età compresa tra i 9 ed i 10 anni.
Ho voluto lavorare con la tematica delle paure, per far capire ai bambini che la fotografia può trasmettere delle emozioni. La fotografia non si limita soltanto alle immagini di paesaggio, degli amici o di quello che si mangia dal piatto, ma attraverso questa forma espressiva si può anche ragionare su qualcosa di un po' più profondo.
Con l'aiuto del maestro, ho chiesto ai bambini di parlarmi delle loro paure.
Successivamente ho fotografato queste loro paure, sia nella loro classe che in cortile. Questo mi serviva per trovare un modo di rappresentare con delle immagini le loro paure o le loro fobie.
Mi sono accorta però che le fotografie erano troppo dirette e troppo d'impatto, oltre tutto si trattava di qualcosa molto privato che riguardava la sfera personale del bambino che non trovavo giusto mostrare a tutti le paure di ogni individuo.
Così ho deciso di coprire le fotografie, alle quali si riferivano le paure di ogni bambino, con un telo, per cercare di tutelare i bambini, ma anche per cercare un'interazione con il pubblico.
Il pubblico non doveva fermarsi solo alle apparenze, ma andare oltre e scoprire la paura
che si nasconde dietro il bambino.

Paura delle bambole  (pediofobia)
Paura delle bambole
(pediofobia)


Ho pensato d'utilizzare il telo da far sollevare ai visitatori per scoprire  le paure del bambino.
Il telo utilizzato è molto importante e molto simbolico, inoltre è fatto di una stoffa che i bambini inglesi utilizzano per confortarsi, si tratta della mussola che diventa in questo caso una vera e propria "coperta di Linus".
Ciò che mi ha dato molta soddisfazione è stato che quando è stato il momento di mostrare le paure, sia ai bambini che al pubblico. Ha avuto inizio una conversazione sul tema delle paure e molti bambini hanno potuto scoprire d'avere molte paure in comune.
Confrontarsi su queste cose ha un effetto liberatorio e terapeutico per coloro che imparano ad accettare che possano esistere delle paure e che bisogna imparare a convivere con esse per poi magari superarle.
Tirare fuori la propria paura e condividerla fa bene.

T.G.: Le immagini che hai scattato sono simboliche, oppure si tratta proprio delle paure scelte dai bambini?

Caroline Gavazzi: Si tratta proprio delle paure di cui parlano i bambini e che possono essere delle vere fobie.

T.G.: C'è qualcosa che t'ha sorpreso durante questa esperienza?

Caroline Gavazzi: Prima di tutto, io ho avuto uno splendido rapporto con loro, molti sono bambini con problemi a casa ed i genitori sono molto assenti, spesso non ci sono nemmeno la sera. I bambini vengono veramente lasciati a loro stessi.
Forse, anche per questo motivo, sono tutti stati entusiasti di lavorare con me, in quanto hanno trovato finalmente qualcuno cui dedicasse loro attenzione verso i loro problemi. Per loro, questa esperienza è stata l'occasione di comunicare qualcosa di personale cui prima nessuno s'era interessato.

T.G.: L'esperienza s'è svolta soltanto all'interno della loro classe?

Caroline Gavazzi: Questo lavoro s'è concluso con una mostra all'interno della scuola in cui i bambini erano addirittura fieri di mostrare quello di cui avevano effettivamente paura ai loro compagni di scuola ed alla loro famiglia: è stato un momento molto bello.

T. G.: Hai in progetto di fare questa cosa anche in altri posti?

Caroline Gavazzi: Sì, sì, sto cercando di vedere se in Italia posso far qualcosa, c'è sempre la possibilità attraverso la stessa charity di lavorare con 4 scuole a Milano: una cinese, una araba, una cattolica, l'altra non me la ricordo più.
Comunque, l'idea è quella di far capire che da qualsiasi parte tu venga: cultura, religione o quant'altro possono essere differenti, ma alla fine siamo tutti uguali e abbiamo spesso anche le stesse paure.

Paura delle ombre  (sciofobia o sciafobia)
Paura delle ombre
(sciofobia o sciafobia)

T. G.: E' stato difficile proporre questo tuo progetto a Londra?

Caroline Gavazzi: No perché io ho avuto l'appoggio della charity, o meglio, di un'associazione benevola che si chiama Pinksie ed esiste sia a Londra che in Italia, hanno lo scopo di aiutare, con la cultura e l'arte, i bambini, spesso di scuole in zone particolari o soggette a disagi sociali. 
Si tratta di un approccio adatto ai bambini ai quali vengono offerti laboratori organizzati da artisti. Io sono stata selezionata tra vari artisti.
Il tema della paura è stato scelto perché ne parlava un libro che veniva utilizzato dai bambini, in cui si raccontava di una balena che aveva paura ad immergersi nelle profondità del mare.

T.G.: L'idea di utilizzare la tendina davanti alle fotografie ti è venuta insieme ai bambini?

Caroline Gavazzi: Sì, mi è venuta insieme a loro. Il primo giorno abbiamo solo fotografato le loro paure, ma subito dopo ho sentito che il lavoro non poteva essere completo in questo modo.
In un primo tempo avevo pensato ad una tendina che scorre, ma poi sarebbe rimasta aperta; invece la mia idea era quella di tenerla sempre chiusa, quindi ho disegnato questo quadro vagamente in stile japonaiserie, lineare e minimalista, dove la tenda ricade al suo posto dopo che è stata visionata l'immagine dietro di essa.

Fabio Castelli
Fabio Castelli, direttore della MIA, ritiene che il gesto di sollevare la tendina davanti alla fotografia, richiami, in qualche modo, l'idea d'aprire la custodia di un vecchio daguerrotipo e svelare l'immagine agli occhi di chi guarda in maniera particolarmente affascinante.

Caroline Gavazzi si cimenta con la paura delle lame

Una visitatrice della fiera rimane un po' scossa dall'aver saputo che una bambina era impressionata da: <Ho paura... dei palloncini che scoppiano>.

Un'altra visitatrice della MIA alle prese con la paura delle bambole

Caroline Gavazzi è rappresentata dalla Galleria d'arte: Cecile Gallet Contemporary.



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