martedì 14 aprile 2015

Edoardo Miola ed i suoi racconti di sabbia

Le più belle storie dei fotografi raccontate da Tony Graffio.
Scegliere il personaggio giusto ed approfondirne la sua esperienza per capire, non solo le motivazioni che spingono un autore ad intraprendere un cammino personale e difficoltoso, ma per analizzarne il valore artistico, la competenza professionale e le scelte tecniche.
Dimenticatevi tutto e immergetevi nell'avventura che ognuno di noi avrebbe voluto vivere, semplicemente leggendo queste pagine.

Tony Graffio intervista Edoardo Miola

T.G.: Edoardo, per favore presentati e spiegaci chi sei e cosa fai.


Edoardo Miola: Sono Edoardo Miola, sono un fotografo, in questo momento, in quanto da una decina d'anni mi sto dedicando a questa attività che è sempre stata una passione, per me. Ultimamente, sto riuscendo a trasformare questa passione in un'attività remunerativa, vendo le mie fotografie, pubblico dei libri. Raccolgo le mie immagini durante i miei viaggi per illustrare un nuovo paese che sto visitando, oppure tengo tutto nel mio archivio, in modo che possa servirmi in un secondo tempo per organizzare mostre, o preparare nuovi progetti.

T.G.: Mi sembra che tu sia anche un architetto...

Edoardo Miola: Sono un architetto di formazione, anche se la mia attività è sempre stata rivolta alla realizzazione di prototipi e modelli riferiti al campo del design, dell'architettura e di ambiente scientifico, nel senso che facevo modelli anche per prove dinamiche e meccaniche: dai piani velici delle barche, ai grattacieli per le prove di sollecitazione di terremoti e cose di questo tipo.
Ho sviluppato la mia attività in un campo tecnologico, in parecchi anni di carriera, ed ho avuto la fortuna d'aver sempre avuto degli ottimi committenti. A livello professionale, ho lavorato con Renzo Piano, con Aldo Rossi, con architetti stranieri assolutamente di prim'ordine e con tantissimi designer.
Ho vissuto un'esperienza molto interessante e molto varia, ma la fotografia è sempre stata una mia passione latente, fin da quando avevo 14 anni. La fotografia era un hobby che finalmente sto sviluppando nel modo che preferisco.

T. G.: Adesso tu riesci a vivere soltanto di fotografia?

Edoardo Miola: In questo momento, io sto dedicando alla fotografia il 90% del mio tempo, quindi la fotografia mi sta restituendo sicuramente delle risorse.
Diciamo che in questa parte della mia vita ci sono ormai tante cose realizzate che mi consentono di non avere una necessità d'incrementare il lavoro della fotografia accettando, per esempio commissioni che non mi interessano. Io mi dedico alle cose che mi piacciono e cerco di ricavare dagli scatti che faccio dei temi che possano essere di piacere e di soddisfazione per me, che magari mi possano permettere una vendita di stampe di buona qualità e di livello economico adeguato.

T.G.: Tu sei presentato al MIA da una galleria?

Edoardo Miola: Io sono qui al MIA come proposta. Mi verrebbe da dire "giovane proposta", ma data la mia età la cosa è abbastanza anacronistica. A parte gli scherzi, sono una proposta MIA, in questa edizione della fiera.

T. G.: Parlami di questo lavoro che stai presentando in mostra.

Edoardo Miola: Il lavoro che presento al MIA è: Racconti di sabbia. Il titolo ci fa capire già abbastanza di cosa tratto. Ho scelto delle fotografie che ho fatto negli ultimi 4 anni, durante questi miei viaggi attraverso la parte australe dell'Africa. Tutte le 11 immagini che ho portato qui al MIA sono riferite alla Namibia, ma il filo conduttore è la sabbia che in qualche modo si riappropria degli spazi umani, quindi anche d'oggetti abbandonati, d'attività abbandonate. Questo era un aspetto del mio tema, ovvero della desertificazione che avanza, della sabbia che invade tutto, ma diventa anche una testimonianza del tempo che passa. Il tempo geologico è qualcosa d'estremamente dilatato, al confronto di cui la nostra vita appare molto effimera.
Tra le fotografie che ho scelto, c'è n'è una, selezionata da My Lifestyle, che mostra un relitto e la vita di questa nave è data dall'ombra che la rende maggiormente visibile ed anche maggiormente effimera, un po' come le fotografie d'altri disastri navali. 
Un relitto che si decompone su una scogliera si comporta in modo diverso, mentre la scogliera non mostra nessun decadimento, l'opera umana dopo quasi 100 anni è ridotta ormai ad una poltiglia.

T.G.: In queste fotografie vediamo il deserto dei diamanti?

Edoardo Miola: Beh, il bello della Namibia è che la maggior parte del territorio è un deserto diamantifero, ci sono tantissime aree, inimmaginabili per noi europei, che sono off limits. Il deserto diamantifero in effetti si presenta in tantissime località.
Le fotografie che ho portato qui sono di una ghost town al centro della Namibia, ce ne sono diverse che si possono raggiungere; per alcune servono dei permessi speciali perché sono in un terreno ancora abbastanza produttivo, mentre questa che ho fotografato io è una di quelle più marginali.
La mia mostra racconta in parte di questo villaggio abbandonato, intorno agli anni 1930 che è stato completamente invaso dalla sabbia che, come sappiamo, cammina sotto l'effetto del vento. Le dune si spostano e la particolarità è quella di vedere delle case che hanno ancora delle buone finiture, sicuramente si tratta delle case abitate un tempo dai capi reparto, o dalla dirigenza, si vedono ancora le porte, ma sono completamente annegate da due metri di sabbia.
La sensazione che si trae da questa visione, a parte la curiosità, è la precarietà della vita dell'uomo su questi territori e quasi l'ininfluenza della sua opera nei confronti della forza della natura.

T. G.: E' stato difficile arrivare in questi posti ed operare in questi ambienti?

Edoardo Miola: Per mio interesse e passione, mi muovo in queste zone con un mio mezzo attrezzato. A parte i tempi necessari a raggiungere questi luoghi, ci sono inevitabilmente delle difficoltà date dal terreno accidentato, dalla sabbia e anche dall'inesistenza delle strade perché tante volte mi sono mosso basandomi soltanto su delle coordinate, cercando d'aggirare le dune più difficili d'attraversare. Anche superare delle zone totalmente prive di tracce di passaggio non è cosa agevole. Tutto questo è abbastanza normale nel territorio Namibiano e lo si può considerare facilmente attraversabile,  perché a differenza del Botswana, non ci sono grossi boschi che impediscono il passaggio.
A parte le difficoltà che si possono presentare per le rotture di pezzi meccanici, o altro, molti luoghi, anche senza vie di comunicazione possono essere raggiunti basandosi su una specie di navigazione, come quella che si può fare in mare, quindi attraverso le coordinate e le rotte.

T. G.: Avevi una guida?

Edoardo Miola: No io non uso guide, perché ho già girato parecchio in questo territorio, lo conosco abbastanza bene e mi fido del mio senso di adattamento. Inoltre faccio ricorso a quello che posso sapere di meccanica e di navigazione. Io ho navigato in mare per tanti anni.

T. G.: Vuoi dirmi che sei andato nel deserto da solo?

Edoardo Miola: Certo, è più facile che ci siano delle persone che si affidano a me, che non viceversa. Io ho attraversato tutto il deserto del Namib, il deserto in Botswana che collega la Namibia e non ho trovato particolari difficoltà.

T. G.: Io però ho sentito, forse non è esattamente dove sei stato tu, che in questo deserto dei diamanti, se ti capita d'avere una foratura e ti fermi per troppo tempo, arrivano velocemente degli elicotteri che ti dicono che te ne devi andare, magari minacciandoti di farti cose non tanto belle. E' così?

Edoardo Miola: Sicuro, ci sono delle precise norme da rispettare, comunque sono segnalate, è difficile che uno s'infili in una zona senza accorgersene. Ci sono delle vere e proprie barriere, ci sono degli incaricati che consegnano dei moduli da compilare. Bisogna scrivere le proprie generalità e delle persone nel veicolo e viene dato un tempo limite entro il quale bisogna uscire da quest'area. 
Non è consentito fermarsi, non è consentito scendere dal veicolo ed al posto di controllo successivo viene controllato che siano stati rispettati questi limiti. 
Io non ho mai subito né perquisizioni, né altro. E' una formalità. Certo che bisogna rispettarla perché sono molto attenti. Se loro vedono che un tratto di strada di 90 km viene percorso in tempi più lunghi di un'ora, un'ora e mezzo, scattano comunque i controlli.

T. G.: Non scherzano...

Edoardo Miola. No. Non scherzano assolutamente, c'è un'area intorno a Orange che è molto sfruttata, al confine col Sudafrica dove questi 90 km vanno percorsi assolutamente in un tempo indicato. Io mi sono fermato soltanto il tempo necessario per abbassare un finestrino ed effettuare uno scatto ad un orice che mi piaceva, però ero nei limiti del consentito. In effetti, la sosta non sarebbe permessa.



T.G.: Invece, all'attrezzatura fotografica hai avuto problemi? Magari con la sabbia, con la temperatura, o d'altro tipo?

Edoardo Miola: Il problema della polvere è presente in tutto il territorio africano perché comunque la maggior parte delle strade sono sterrate e questa polvere quarzifera finissima gira sempre. 
Durante la giornata è impossibile pensare di fare una pulizia degli obiettivi e tanto meno, del sensore.
Addirittura io, quando sono al limite e devo fare una pulizia del sensore, cerco di farla all'alba prima che si alzi la prima brezza e tutto. Oppure con il buio, anche alle 4 di mattina se s'accende un fascio di luce si vedono volare ovunque questi cristalli infinitesimali. Purtroppo, i miei obiettivi sono pieni di questa polvere. La macchina ormai s'è abituata; ci sono dei momenti in cui è più elettrica l'aria ed è un disastro perché praticamente si fotografa con un velo di polvere sul sensore. Per fortuna poi ci sono dei sistemi per fare la pulizia, anche nella post-produzione, ma pensare di avere macchine pulite, anche se si tengono fermi gli obiettivi e si usano più corpi è un'illusione. 
Io tengo le macchine dentro dei sacchi mentre viaggio, ma è inevitabile che il sacco staticamente raccolga la sabbia e la polvere e quando si apra è una nuvola.
Si vive costantemente a contatto della polvere.

T.G.: Ritieni che l'utilizzo dell'attrezzatura analogica creerebbe meno problemi?

Edoardo Miola: Utilizzare l'attrezzatura analogica che ha una meccanica robustissima può aiutare, però la polvere entra comunque anche lì. Quando si deposita sulla pellicola fa delle bellissime righe perché il riavvolgimento crea sicuramente dei danni.
Secondo me, è possibile ancora utilizzare le fotocamere digitali perché non ci sono problemi a reperire l'alimentazione elettrica.
Magari, ho sentito maggiormente la necessità di corpi macchina meccanici quando mi son fatto un giro in Nepal e non avevo la possibilità di ricaricare le batterie perché ero al di sopra dei 4000-4500 metri.
In quel caso, mi sono costruito io un sistema di ricarica solare con una batteria molto capiente, la mettevo sul cavallo e quindi l'energia me la creavo, anche per il computer.
Il sistema analogico ha, secondo me, un sistema abbastanza anacronistico per tutto quello che è la post-produzione.
Ci sono pur sempre affezionato, adesso continuo ad usare gli obiettivi Leitz delle mie vecchie Leica M6 e M5 sulla Monochrom, però uso il digitale. Allo stesso modo utilizzo le vecchie ottiche Nikon Ais della F3 con le reflex Nikon digitali. 

T.G.: Visto che hai parlato della Leica Monochrom, vorrei sapere come ti trovi. Pregi e difetti.

Edoardo Miola: La Monochrom la trovo eccezionale per determinati aspetti e l'ho trovata problematica per altri. Il sensore si sporca troppo facilmente, anche perché non c'è un sistema elettronico di pulizia. Il sensore, non avendo il filtro passa basso è più delicato di un sensore normale, sia nella MP che sulla Monochrom che è fantastica, soprattutto per la resa. 
Ho fatto delle fotografie che sono spettacolari come qualità ed i file necessitano di pochissimo per essere sistemati. I 18 milioni di pixel, in realtà corrispondono ad una definizione quasi 4 volte superiore. 
Posso dirlo perché ho effettuato stampe anche di grosso formato. E' comodissima perché sta in tasca, però io non posso affidarmi solo a quella macchina perché poi mi servono altri tipi di performance che, purtroppo, questa macchina non può dare. E' anche molto lenta come tempo d'acquisizione di file, a diversità dell'MP, però ogni sistema ha il suo campo d'applicazione.


T. G.: Mi puoi raccontare la storia dell'immagine del relitto della nave nel deserto?

Edoardo Miola: La nave nel deserto la volevo fotografare da molto tempo, io ho avuto il tempo necessario per decidere di fare il volo sopra quella zona in un momento speciale.
Gli aeroplani partono da circa 200 km di distanza da Skeleton Coast, un punto, dove già per arrivarci, ci vogliono particolari permessi del ministero. 
Io avevo sempre avuto solo permessi locali, per cui per me era proibitivo raggiungere quel luogo via terra. Sapevo che quel relitto era particolare, l'avevo già visto su Google e avevo visto qualche immagine, ma secondo me poteva dare il suo meglio solo alla luce del tramonto. Ho dovuto battagliare un po' col pilota per convincerlo a partire più tardi del solito. Normalmente i voli partivano alle 14, mentre noi siamo partiti dopo le 16 per giungere sul posto con la luce propizia.
Spiegando al pilota che se non fossi stato sopra la nave all'ora che mi ero prefissato avrei fatto una fotografia inutile, sono riuscito ad  ottenere quello che volevo.
Le ombre poi hanno raccontato tutto della nave perché sono state le ombre a parlare del soggetto, non il soggetto.

T.G.: Esiste quindi un turismo fotografico per andare a fotografare questa nave?

Umberto Miola: Per questo sito in particolare, no, anche se è un luogo molto affascinante.
Esistono però delle persone con una loro scaletta di luoghi da visitare e fotografare e da questo punto di vista, sicuramente esiste un turismo fotografico.
Tante volte, le accompagno anch'io ben volentieri, se sono persone che hanno già una certa dimestichezza con la fotografia.
Il turismo in sé esiste, ci sono anche dei voli da poter fare con le mongolfiere, limitatamente alle possibilità che può dare una mongolfiera. Ci sono piloti che sono ben felici d'accompagnare in volo le persone che intendono osservare dall'alto questi luoghi molto belli. Io ho realizzato un video montando delle mie immagini che consiglio a tutti di guardare, per farsi un'idea dei posti che si possono visitare da quelle parti.
In: Se la sabbia potesse parlare sono i colori della sabbia e la varietà delle forme delle dune, che dicono tutto.

T.G.: Ti va di parlare delle stampe? Sei soddisfatto? Chi è il tuo stampatore?

Edoardo Miola: Volentieri. Le stampe le ha fatte Roberto Berné che, a parte essere un bravissimo stampatore, uno tra i migliori, è diventato inevitabilmente un amico perché quando si fanno dei lavori insieme e si ha la passione e il gusto di farli in un certo modo, soprattutto, ci si mette qualcosa di noi stessi. A quel punto, ci si scopre, ci si conosce e facilmente si diventa amici.
Si tratta di stampe ciglée su carta di ottima qualità. Ho scelto un tono seppiato perché mi piaceva che il racconto fosse quasi staccato dal tempo, come se fossero stampe di un'altra epoca. Non si trattava di un vezzo formale per scimmiottare la resa di una vecchia carta Agfa, ma era solo per distrarre le immagini dal tempo.

T.G.: A quanto vengono vendute le tue opere e in quante copie sono tirate?

Edoardo Miola: Le stampe che ho portato qui al MIA sono tutte realizzate nello stesso formato: cm 70X105, con un tipo di cornice uguale per tutte. Una fotografia è stata ritirata dallo sponsor a 2000,00 euro.
La tiratura è stata fatta in 5+2. 5 pezzi più 2 prove d'autore.

T.G.: Sei tu che fai il trattamento del file per la stampa?

Edoardo Miola: Sì, sì, lo faccio io. Addirittura nell'ultimo libro che ho fatto sui Mustang che è uscito 20 giorni fa, la metà delle fotografie le ho trattate mentre ero in viaggio, quindi proprio per quella attrezzatura di riserva energetica che ho spiegato prima.
La sera, appena faceva buio, durante il viaggio mi occupavo della post produzione con un vecchio p.c. portatile, mentre di solito, a casa utilizzo un Mac.
Quando sono ritornato dal Nepal, intorno al 7-8 di novembre, non ho dovuto prepararmi troppo ed il 26 dello stesso mese, ero già in mostra a Torino. Poprio perché avevo già provveduto a selezionare, decidere ed a post produrre tutto quello che mi serviva. 
A Torino, ho fatto semplicemente la stampa e l'allestimento della mostra, perché mi piace, mentre mi trovo sul posto, capire  come saranno le fotografie finali, anche perché se mi accorgo che mi manca qualcosa, lo faccio al momento, oppure effettuo delle modifiche sul modo che ho di fotografare.
In Nepal sapevo che avrei fatto paesaggi e ritratti e quindi sapevo che tipo di trattamento avrei fatto, così ho cercato di standardizzare tutto. Mentre viaggiavo, ho anche modificando il tipo di scatto che avrei fatto: avrei utilizzato una certa impostazione formale della fotografia.

T.G.: Consideri questo progetto concluso?

Edoardo Miola: (Ride) I progetti, appena sono finiti, viene voglia di cambiarli.
No, non è concluso, nel senso che ci lavorerò sicuramente ancora, può darsi che lo ampli, può darsi che lo modifichi.
Non è che io non sia mai contento di un progetto, però il progetto è un momento di catalizzazione di quello che si è fatto.
Io dico sempre: la vita è un attimo. Un attimo dopo è un'altra vita e allora i progetti non sono uguali.

T.G.: Prevedi di tornare in Namibia?

Edoardo Miola: Se riesco, io riparto il 19, o il 20 di questo mese, per andare giù a sistemare la vettura e volevo fare delle riprese in una cittadina del Sudafrica.

T.G.: Hai un tuo mezzo attrezzato che tieni in Namibia?

Edoardo Miola:  Sì, non si possono fare questo tipo di viaggi noleggiando i mezzi perché io ho un veicolo con un serbatoio di 350 litri di carburante che mi consente di non avere preoccupazioni, o taniche volanti sul tetto.
Se per fare questi raid si vuole noleggiare qualcosa, bisogna avere una grossa disponibilità, noleggiare molti veicoli e viaggiare con delle attrezzature che sono veramente dei trasporti da fare con un'azienda di logistica perché ogni veicolo dev'essere equipaggiato di tutto punto.
Si può trovare qualcuno che noleggia il suo veicolo attrezzato, ma si sa che si è molto gelosi di questi mezzi, quindi o è una compagnia e si hanno sei mezzi ed un camion con i pezzi di ricambio; oppure questi viaggi si possono fare solo con un mezzo concepito a questo scopo e non su grande scala. 
Quando bisogna trasportare tante persone, occorre poi fare delle carovane.

T.G.: Come ci si sente ad essere un "fotografo emergente" alla tua età?

Edoardo Miola: Io non mi sento assolutamente un fotografo emergente. 
Sono probabilmente fuori età, nel senso che ho superato i 60 anni. Mi affaccio però, con lo spirito e la voglia di un ragazzo a questa attività, perché l'avrei voluta fare quando avevo 18 anni.
Io, nel 1974, ero in Afghanistan e avrei voluto continuare a girare quei posti, invece mi son messo a fare dell'altro.
Io gli studi ed i viaggi li ho fatti, ma facendo dell'altro. 
Non è tanto il discorso di sentirsi emergente, quanto mi fa piacere che il mio lavoro sia ben valutato e ben accolto. Sono contento che piaccia. Tutto questo, per me, è già di soddisfazione.

T.G. Hai altre cose da dire?

Edoardo Miola: Spero che non mi manchino mai la voglia e l'energia per mettermi in viaggio, anche perché questi luoghi che io attraverso, sono popolati d'amici.
Io potrei raccontare 1000 storie con queste popolazioni che sono di una simpatia e di una generosità, umiltà e semplicità infinite.
Come sempre accade, è più facile avere dei rapporti molto belli e profondi fuori dai grossi centri abitati, perché i grossi centri abitati, purtroppo, catalizzano le peggiori cose.
Appena esci dal circuito urbano, le persone si fanno in quattro per aiutare, sono curiose, sono disponibili, dividono volentieri il panino con te.
Parlando, è normale spezzare quello che stai mangiando ed offrirne un pezzo a chi sta con te e mangiarlo insieme.
Mi sembra che questo dica tutto.

Edouardo Miola, 61 anni, fotografo e viaggiatore

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