domenica 15 febbraio 2015

Ridare vita a ricordi e a strumenti del passato per conservare la memoria delle macchine e degli uomini

 Riflessioni e brevi divagazioni sull'efficienza del mezzo analogico  

Kodak Retina I/a

La fotografia è un mezzo molto importante che ci permette di documentare in maniera immediata momenti, fatti e persone che fanno parte della nostra vita e della storia di tutti. 
Partendo da un incontro casuale e da una passione comune si possano scoprire episodi che ci forniscono elementi in più per comprendere il nostro passato ed episodi storici dimenticati.
Qualche tempo fa, come spesso mi capita di fare, ero passato a salutare il mio amico Gigi Carminati; ero entrato da poco nel suo laboratorio, quando un signore un po' affannato, abbastanza in là con gli anni, s'affaccia alla porta d'ingresso e chiede se si trovava nel posto giusto.
Gigi che gli aveva dato indicazioni telefoniche poco prima, lo riconosce e lo rassicura, siamo proprio nell'atelier dove lui, il mago della meccanica di precisione, riesce a ridar vita ad ogni tipo di fotomera, strumento ottico, e gioiello d'altri tempi.
Il vispo visitatore si presenta subito come Pier Girolamo Patellani e spiega come abbia la necessità di far riparare la sua amatissima Kodak Retina I/a che, secondo lui, avrebbe avrebbe ricevuto nel 1946, in regalo dalla madre.

Pier Girolamo Patellani classe 1923 con in mano la sua  Kodak Retina del 1949

Il signor Pier Girolamo racconta che ha utilizzato questa fotocamera per tutta la sua vita, ma che negli ultimi 2 o 3 anni ha dovuto smettere di fotografare perché la sua Kodak ha iniziato a fare un rumore strano e a non scattare. 
L'esperto fotoriparatore prende in mano la piccola macchina fotografica e s'accorge immediatamente che c'è qualcosa di molto strano, innanzitutto, il nostro amico dal nome evocativo ha attaccato del nastro adesivo trasparente su un lato dell'apparecchio fotografico, probabilmente per non far distaccare il rivestimento, cosa che non bisognerebbe mai fare perché poi restano delle tracce di colla difficili da pulire.
Muovendo un po' la fotocamera, si sente subito che c'è qualcosa di non ben fissato all'interno. Aprendo il dorso, si vede che s'è staccato un rocchetto per l'inserimento della pellicola, l'enigma è quasi subito risolto, ma c'è di più.
Queste belle macchinette folding richiedono sempre di posizionare la messa a fuoco su infinito per far occupare meno spazio all'obiettivo e poter essere chiuse con tranquillità.
Essendoci del gioco nella chiusura, Gigi capisce che i braccetti che sostengono il soffietto hanno subito eccessiva forza durante la chiusura dell'obiettivo, ma questo è un guasto che si può sistemare abbastanza facilmente. Poi, si tratterà di pulire bene gli ingranaggi e risistemare altre cose che potrebbero essere fuori posto.
Le Retina sono delle fotocamere molto ben costruite che poco hanno a che vedere con le Kodak che si conoscono normalmente, infatti si tratta di fotocamere progettate e costruite a Stoccarda, in Germania, da Nagel Camerawerks, una ditta acquistata da Kodak nel 1931. 
La Nagel Camerawerks venne requisita dal governo tedesco nel 1941 che decise di produrre in questo stabilimento pezzi per cannoni antiaerei.
Il dottor August Nagel, titolare dell'azienda, morì nel 1943 e gli edifici furono bombardati dagli alleati nel 1945. Gli americani tornarono a produrre fotocamere marchiate Kodak nel dopoguerra, attività che si protrasse fino al 1969.
Da quanto abbiamo visto, risulta difficile che il nostro amico Patellani abbia avuto la sua Retina Ia nel 1946, mentre è più probabile che questa fotocamera sia in suo possesso dal 1950, o forse anche dal 1949.
Anch'io ho posseduto lo stesso modello di Kodak Retina, acquistata usata in un negozietto un po' scalcinato in via Ricciarelli, zona San Siro, che già da diversi anni ha chiuso l'attività.
Non ho usato molto questa fotocamera che credo d'aver tenuto non più di 2 anni e che ricordo avevo portato con me durante il piovoso Festival di Roskilde del 1997.
Ho scattato poche fotografie con quel modello di macchina fotografica e non ne sono rimasto particolarmente entusiasta della praticità d'uso e della messa a fuoco approssimativa, mentre come oggetto feticcio lo ritengo fantastico, specie per i materiali usati e la costruzione accurata.
Gigi, finalmente, si decide a parlare di Federico Patellani, il grande fotografo e giornalista milanese che fu l'unico reporter italiano accreditato a Londra per il matrimonio di Elisabetta II d'Inghilterra, nel 1947 e si scopre che Federico e Pier Girolamo erano cugini, come lo erano di un asso dell'aviazione fascista che portava lo stesso cognome, si trattava di Renato Patellani, morto nel 1941 in Libia e per questo ricompensato con una croce di guerra al valore.


Renato era grande amico di Bruno Mussolini che lo salutò durante le cerimonie funebri, a Pisa, con alcuni voli radenti. 
Il figlio aviatore di Benito Mussolini morì circa un mese dopo, il 7 agosto 1941, durante un incidente di volo.
Pier Girolamo avrebbe molte altre cose da raccontare sulla guerra, lui nacque nel 1923 a Milano e nel 1943 si ritrovò a partecipare alla campagna di Russia come autiere della Brigata Alessandria, nella divisione Torino, poiché si dimenticò di rimandare ulteriormente il suo arruolamento per motivi di studio. Nonostante questa svista fu fortunato: lui fu uno dei pochi militari italiani che riuscì a tornare a casa in buone condizioni.
Purtroppo, durante la campagna di Russia, il signor Pier Girolamo non aveva nessuna fotocamera al seguito così non è stato in grado di riportare nessuna immagine di quel periodo drammatico della sua vita.
Un tempo questi strumenti di precisione erano molto costosi e poco diffusi tra la popolazione, si pensi che presso le famiglie italiane era più frequente trovare il telefono che la macchina fotografica. Questo motivo, unitamente al fatto che ci furono pochi sopravvissuti, può darci una spiegazione del perché le immagini fotografiche riportate dal fronte di guerra russo sono molto rare, così come i filmati.

Acquapendente VT, 1945 Fotografia di Federico Patellani
(L'archivio di Federico Patellani è stato concesso in comodato d'uso alla Regione Lombardia dal figlio Aldo Patellani ed è consultabile presso il Museo della Fotografia Contemporaneo di Cinisello Balsamo, MI)

Mi dispiace non aver potuto pubblicare qualche immagine scattata dal signor Pier Girolamo con la sua Retina un po' usurata, egli ha acconsentito che io parlassi di lui, ma non ha voluto fornirmi alcuna sua stampa, dicendo di non avere nulla da mostrare. Forse s'è trattato di pudore, oppure di eccessiva modestia, fatto sta che per parecchio tempo mi sono arenato in questa storia non sapendo bene che senso avrei potuto darle, visto che parlando di una fotocamera particolare, solitamente preferisco fornire un esempio di ciò che essa è in grado di fare.
Ho anche pensato di riesumare una qualche immagine scattata da me, all'epoca in cui possedevo la stessa fotocamera, ma poi ho capito che questa doveva essere l'occasione per dimostrare il potere dell'immagine fotografica, in questo caso con la sua assenza.
Avrei gradito mostrare un determinato scatto come un momento della vita negli anni della guerra, oppure un qualsiasi episodio della vita di giovane italiano che s'apprestava a vivere negli anni antecedenti al boom economico, ma alla fine ho utilizzato un'immagine simbolica tratta dall'archivio Federico Patellani in cui una donna osserva a distanza quel che resta di un aeroplano italiano dopo il bombardamento del campo volo nel 1943.
C'è anche un'altro discorso che scaturisce dall'incontro con Pier Girolamo Patellani e da pensieri molto personali e che hanno a che vedere con la vita degli oggetti che ci passano per le mani.
E' la cura che noi abbiamo per le cose e dei nostri ricordi che è in grado di far vivere gli oggetti e tramandare gli eventi accaduti.
Per me, è sempre un piacere scambiare due parole con una persona che ha vissuto più di me e che ha più cose da raccontare, perché in queste occasioni s'impara sempre qualcosa d'interessante e si può avere un contatto diretto con i testimoni oculari che hanno visto cose che noi non abbiamo vissuto e che solo tramite queste persone può esserci trasmessa l'essenza della loro esperienza.
Poi, trovo affascinante che un uomo di quasi 92 anni sia ancora in grado di trovare l'entusiasmo di voler recuperare la sua arzilla fotocamera per proseguire insieme un cammino fotografico, nonostante esistano meccanismi e tecnologie più immediate e moderne che potrebbero essere d'aiuto a chiunque nelle varie fasi da percorrere per ottenere un'immagine fotografica.
Gli oggetti hanno una loro vita, se noi concediamo loro questa possibilità; il che vuol dire prenderci cura di loro utilizzandoli nel giusto modo, proteggerli da imprevisti o incidenti e, all'occorrenza, provvedere alla loro manutenzione o riparazione.
Ultimamente, mi sto appassionando a ricercare fotocamere tradizionali, non importa di che tipo o quale marca, mi basta che utilizzino pellicole ancora in produzione e abbiano qualche particolarità che le renda diverse dalle solite macchine fotografiche reflex con le quali iniziai a fotografare da ragazzo.
Quando trovo un pezzo che m'interessa, vedo come è tenuto, non cerco la fotocamera intonsa, ma qualcosa che possa essere utilizzato con soddisfazione che faccia onestamente il proprio dovere e sia anche resistente.
In genere, da come questi oggetti sono tenuti riesco a capire anche che tipo di persona fosse il precedente proprietario, come trattasse la fotocamera e, naturalmente, se vale la pena di prendermene carico, oppure no.
Riparare una fotocamera vecchia è quasi sempre possibile, purché non ci sia la necessità di sostituire un pezzo introvabile, bisogna però capire se questo ripristino avviene per motivi affettivi, o nella speranza di rivendere un pezzo che possa farci recuperare qualche euro, cosa ormai poco improbabile.
A mio giudizio, vale sempre la pena di far sistemare una fotocamera, specie se questa ha un buon otturatore e qualche valore storico, oltre che sentimentale.
Molti apparecchi fotografici sono stati abbandonati per tantissimi anni in qualche mobiletto e non hanno mai avuto una revisione decente da un buon fotoriparatore che, spesso, si limita a fare semplicemente un po' di pulizia rimuovendo grasso e olio induriti, sostituendoli con lubrificanti nuovi.
Sconsiglio nella maniera più assoluta di voler fare da soli a tutti i costi perché agendo in tal modo si rischia di causare qualche danno, anche semplicemente rimuovendo vecchie viti a taglio, o trovandosi poi in difficoltà nel rimontare qualche pezzo.
In ogni caso, non vi fidate a metter mano ad un otturatore a lamelle metalliche, o ad un diaframma, nemmeno se l'avete visto fare da qualcuno molto competente: la professionalità non s'improvvisa.
Sempre a questo proposito, evitate anche d'affidarvi a chi si millanta riparatore, ultimamente, molti si definiscono in questo modo, ma poi si arenano alla prima difficoltà.
Esistono migliaia e migliaia di modelli diversi di fotocamere meccaniche e non basta una vita per conoscerle tutte, sarebbe un peccato terminare la vita produttiva di un pezzo che magari ha già i suoi 60 o 70 anni d'onorato servizio alle spalle per un esperimento infantile.
La cosa importante da ricordare è che spesso bastano dei piccoli accorgimenti nel riporre l'attrezzatura che si pensa di non utilizzare per diverso tempo per evitare di dover correre ai riparatori, in seguito.
Se la fotocamera ha una o più batterie, toglierle sempre dal loro alloggiamento; conservarla all'interno di una scatola o di una borsa, lontano dalla polvere, dagli sbalzi termici, e per proteggerla dall'umidità, depositate all'interno del contenitore dove riponete la vostra attrezzatura qualche sacchetto di gel di silicio (silica gel); per gli otturatori a tendina ricordarsi di lasciarli talvolta carichi e altre volte scarichi per non far prendere posizioni fisse o pieghe ai tessuti con cui sono fatti; gli obiettivi è meglio conservarli in posizione verticale in modo che i lubrificanti non colino a lato delle lamelle del diaframma o dell'otturatore centrale; ricordatevi inoltre di dare una pulita con un panno asciutto e morbido per togliere tracce di sporco, polvere e unto dalla superficie esterna del corpo macchina e dell'obiettivo. 
Per l'interno della camera oscura dove viene alloggiata la pellicola, è sufficiente dare una bella spolverata con aria compressa o con le apposite pompette di gomma.
Ultimamente, si fa un gran parlare di come un giorno sarà possibile visionare i file digitali salvati in epoche precedenti e come si potranno vedere le fotografie realizzate con queste tecniche informatiche, visto che i programmi hanno una durata molto breve e c'è una continua evoluzione tecnologica che rende tutto obsoleto molto in fretta.
Tralascio volutamente tutto il discorso che si potrebbe fare anche sulla facilità di falsificare un documento digitale ed un'immagine ripresa con questa tecnologia, ma è evidente che l'immagine analogica offre maggiori garanzie d'autenticità.
E' lo stesso Vinton Cerf, uno dei più importanti informatici americani e “padri di internet” a metterci in guardia da un possibile “buco nero” che potrebbe inghiottire ogni nostra memoria digitale e a questo proposito, se non si provvederà ad intervenire in modo da salvaguardare tutto, non solo i nostri dati, ma anche hardware e software specifici, i nostri ricordi potrebbero essere davvero soggetti ad un destino molto triste.
Anche per questo motivo, ritengo sia meglio prendersi cura della propria attrezzatura tradizionale e fare in modo che resti sempre operativa ed in buone condizioni, cosicché in qualsiasi momento ne avremo bisogno, su di lei sapremo di poter sempre contare ed ottenere buoni risultati, fruibili anche in futuro. Tony Graffio

1 commento:

  1. Begli ricordi di quelle macchine di foto, con le quali la cosa importante era dominare la luce e la composizione.

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