martedì 20 gennaio 2015

La fine del lavoro

Questa mattina sono tornato al mio primo amore: l'osservazione del trascorrere del tempo e la ricerca di un'estetica del degrado nei luoghi abbandonati.
Sono stato fortunato, a Milano ho trovato un posto dove il tempo s'è fermato dandomi anche modo di esporre qualche pensiero molto personale (PMP) sul lavoro e sulla realtà sociale del tempo presente.

La fine del lavoro in un'argenteria abbandonata
La chiave inglese è la regina di ogni officina

In ogni luogo dove si svolge una vera attività produttiva, non chiacchiere, gli attrezzi di lavoro permettono di trasformare la materia in manufatti attraverso macchinari di dimensioni più grandi che un tempo erano fatti di ferro ed avevano un peso bestiale.
Trovarsi di fronte ad una chiave arrugginita ci fa capire come l'età del lavoro sia passata da tempo: oggi non si produce praticamente più nulla, si sono perse competenze tradizioni, professionalità importanti e quello che è più grave, con tutte queste cose s'è persa anche la voglia di lavorare e di costruire un mondo migliore.

Non ho avuto il tempo d'esaminare questi documenti, ma posso raccontarvi che qui ci troviamo in un laboratorio dove fino a poco meno di 30 anni fa si lavorava l'argento, si argentavano cornici e si realizzavano altri oggetti per abbellire l'ambiente domestico o quello religioso.

Bilancia per pesare lingotti d'argento
Non vi posso dire come ho fatto ad introdurmi in questo capannone, tanto meno posso indicarvi come fare ad arrivare fin qua. 
Ci sono ancora molti oggetti interessanti che voglio tutelare, io non ho toccato nulla, per fare in modo che tutto resti così, in una dimensione a sé stante.
Fino a quando, non si può sapere, mi auguro il più a lungo possibile.


Proprio nei giorni scorsi, avevo visto su internet delle immagini di una casa abbandonata in Canada dove sono stati trovati rotoli di dollari ed altri beni preziosi vecchi di 60 - 70 anni, mi chiedevo come fosse possibile che ci fossero in giro per il mondo posti del genere.
Adesso lo so.

Una vecchia bilancia Bizerba fa bella mostra di sé, forse serviva a pesare i lingotti d'argento?
Ricordo che questo tipo di bilance erano usate in tutti i mercati.

Su un raccoglitore compare il nome Bulgari. 


La Fine del Lavoro in un'argenteria abbandonata
Non poteva mancare la cassaforte.


Ancora ben chiusa.


Il resto potete vederlo da soli.



C'è un po' di tutto, tante cose non ho nemmeno capito cosa sono, né a cosa servissero.



La cosa per me più importante è stata che io avessi con me una macchina fotografica, perché al mattino uscito da casa, non avrei mai immaginato d'arrivare fin qui.


Frese di vario tipo.

Ed altri strumenti.



Oggi ho veramente capito che non esiste una fotocamera migliore di un'altra, al di fuori di quella che tu hai disponibile nel momento in cui ti serve.


O per dirla in un modo più chiaro:  <La fotocamera migliore è quella che hai a disposizione in quel momento>.

Io oggi avevo con me la mia Pentax Q, una fotocamera digitale piccola, ma robusta e ben costruita.


Nonostante abbia un sensore di dimensioni ridicole: soltanto mm 6,16X4,6 questa fotocamera è una prezioso strumento fotografico capace di riportare immagini di qualità più che dignitosa in formato Raw DNG.

In realtà, in tasca avevo anche una Minox B del 1959 con due caricatori di pellicola. Uno era un B/N Agfapan 100 Asa, mentre l'altro era un Minocolor 80 Asa, troppo poco sensibili per poterli utilizzare con successo in queste condizioni.

Pur avendo con me anche il mio Bilora Stabilet 1011, ho preferito scattare solo in digitale a circa 800 Iso ed a mano libera.
Utilizzare lo Stabilet avrebbe voluto dire avere dei punti di vista obbligati, cosa che invece ho preferito evitare.


Guarda caso, sia la Pentax Q che la Minox B sono due delle fotocamere che hanno un'area fotosensibile tra le più piccole a disposizione di un fotografo.
Nonostante la Minox B sia sensibilmente più piccola e leggera della Pentax Q, il formato della pellicola (mm 8X11) è quasi il doppio di quello del sensore della fotocamera digitale a mia disposizione.

Forse dovrei cercare di tornare in questo capannone con un cavalletto più alto per un duello virtuale tra una microcamera a pellicola ed una digitale?

Questa potrebbe essere una buona idea ed infatti non era un caso che io andassi in giro con questa strana coppia di fotocamere. 


Questa fotografia è stata scattata con una sensibilità di 1600 Iso a 1/15 di secondo a f  1,9

Per la vostra incolumità assicuratavi che mole, lame e seghe siano protette.

Misure di apribottiglia e schiacchianoci più altri numeri difficilmente riconducibili ad un significato preciso.

Una pressa manuale in dettaglio.


Il soffitto non è in buone condizioni, ragione in più per tenersi alla larga.



Da vicino anche le cose più impolverate hanno un loro fascino.


Un bel "mestolone" sul pavimento.


Strumenti che sembrano appartenere ad un altro mondo.

Tecnomina Bicolore blu e Tecnomina Extra Presbitero.

Altri dettagli.

In una sala attigua c'era poca luce per fotografare a mano libera.


Sugli scalini più alti però un po' di luce arrivava.

A parte, un discorso creativo/fotografico che spero di poter fare in maniera più precisa in futuro, in questo posto, oppure altrove, queste immagini hanno per me un valore estremamente simbolico ed al tempo stesso attuale e  realistico, poiché ci mostrano in tutto il suo degrado una società occidentale in continuo declino e dal futuro incerto.
Milano è sempre stata una città molto operosa ed attiva in ogni campo; purtroppo ora non è più così, un po' come in tutto l'occidente deindustriaizzato.
L'industria è stata delocalizzata altrove, un po' come gran parte del lavoro che un tempo veniva svolto in Europa.
E' vero che l'industria inquina, ma confrontarsi con alcuni problemi produttivi permette di procedere con uno sviluppo tecnologico indispensabile al nostro progresso ed al tempo stesso mantiene vive quelle conoscenze operative che permettono agli uomini di realizzare grandi o piccoli progetti.
L'informatizzazione, l'automatizzazione e la robotizzazione hanno avuto un grande sviluppo ed hanno portato ad una terza rivoluzione industriale che ha prodotto sopratutto disoccupati, oltre che ad un distacco tra l'uomo e gli oggetti della sua opera.
Forse un giorno i robot lavoreranno per noi dandoci la possibilità finalmente d'occuparci di questioni più interessanti come la filosofia, l'arte o la crescita e l'educazione dei nostri figli, chi può dirlo? Adesso però è abbastanza desolante vedere come le capacità umane nel realizzare un manufatto stiano pian, piano perdendosi, così come l'interesse verso certe tecniche, anche artigianali stia scomparendo. Tony Graffio

Aggiornamento del 15 marzo 2015
Ho voluto reinterpretare la fine del lavoro fotografando, qualche tempo dopo, lo stesso ambiente anche con una Vision Cinema Pro 320 della Six Gates Film; si tratta di un'emulsione per cinematografia ideata negli anni 1990 della Kodak. La 5277  è adatta ad una temperatura di colore di 3200°K che può essere filtrata in macchina da un filtro 85B, oppure, per non perdere nessun diaframma, può essere esposta in luce naturale e poi corretta in Photoshop, cosa che ho scelto di fare anch'io, per poter contare su una maggiore sensibilità ed esporre a mano libera in interni.
La fotocamera impiegata è una rara biottica per il 35mm che, grazie al mirino piuttosto luminoso ed all'assenza di vibrazioni provocate dal movimento di ribaltamento dello specchio, mi ha permesso di muovermi agilmente senza il cavalletto all'interno di un ex laboratorio in disuso. TG

Chiave inglese occhiali e barattoli

Esposizione effettuata a 1/8 di secondo, f 2,8, a mano libera.
Fotocamera usata per la ripresa: Agfa Flexilette.
Scanner: CanonScan FS 4000 US 
Effetti di post-produzione: in questo caso non ho nemmeno corretto la temperatura colore, mi sono limitato ad agire su alcune regolazioni di contrasto, luminosità e ad utilizzare il filtro artistico Poster Edge che mi piace molto per dare un tono più destrutturato ai pixel dell'immagine.

Chiave inglese, occhiali e barattoli
Un'interpretazione differente dello stesso fotogramma scansito con un un Epson V700 da Guido Tosi

In quest'ultima immagine si vedono bene gli angoli arrotondati del quadruccio di ripresa, una caratteristica che rende ancor più datato l'insieme ottenuto con il connubio tra soggetto e fotogramma finale.

Aggiornamento del 26 maggio 2015

Sono tornato a fotografare l'argenteria abbandonata con una Nikon D3300 perché l'argomento è costantemente d'attualità e credo di volerlo rappresentare anche in altro modo con l'intervento di alcune artiste che si esprimono con tecniche diverse dalla mia.
Sono partito da file Nef che poi sono stati salvati in Tiff e poi ridotti in jpeg per la pubblicazione su questa pagina.



















Le condizioni di luce della giornata delle riprese effettuate con la Nikon D3300 erano simili alla giornata di 4 mesi prima quando le immagini digitali sono state scattate con una piccola Pentax Q.
Non ho modificato in nessun modo la colorimetria, soltanto ho accentuato un poco il dettaglio ed il contrasto.
Il piccolo sensore della Pentax Q svolge comunque un ottimo lavoro, anche se i 24 Mp della Nikon D3300 sono il doppio di quelli a disposizione della Pentax.
La colorimetria delle due fotocamere è abbastanza diversa, ma hanno entrambi tonalità molto gradevoli, più calde la Pentax, più fredde la Nikon.
La D3300 era impostata su una sensibilità di 1600 Iso per sopperire alla mancanza di luminosità dello zoom AF-S DX Nikkor 18-105 f 3,5-5,6G ED VR, un obiettivo che sembra comportarsi molto bene, se si pensa che alcuni scatti sono stati effettuati ad addirittura 1/8 di secondo a mano libera.
La Pentax potendo usufruire di un'ottica fissa molto più luminosa: f 1,9 ed era impostata su una sensibilità di Iso 1600. Alcuni scatti sono stati però effettuati a 1/13 di secondo.

Rollei RCN 640 pellicola negativa alta sensibilità Nikon F5
 Fotografia ripresa negli stessi ambienti con Nikon F5 e pellicola Rollei RCN 640 EI

Se volete, potete guardare anche un video girato nello stesso posto.




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